LA PROGRAMMAZIONE PER MAPPE CONCETTUALI NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA
20 Aprile 2002
Elio Damiano – IV circolo didattico, Civitanova Marche (MC)
Damiano illustra le mistificazioni e le distorsioni del rapporto insegnamento/apprendimento nella visione degli insegnanti. Accenna a un test in cui si ponevano due domande agli insegnanti; nella prima si chiedeva di ricordare se, nella loro carriera di discenti, ci fossero state situazioni in cui avevano capito veramente bene qualcosa, e di spiegare, inoltre, come avevano fatto. In tutti i casi le risposte erano affermative e riguardavano il coinvolgimento personale, il lavoro di ricostruzione individuale, la motivazione intrinseca, il momento del rendersi conto di aver raggiunto autonomamente quel salto netto nel livello di comprensione. La seconda domanda richiedeva di illustrare la metodologia utilizzata per spiegare a un discente ipotetico qualcosa che si è capito e si conosce molto bene. In tutti i casi la risposta data dal campione includeva il prepararsi bene l’argomento prima della lezione, preparare schemi ecc., quindi andare e spiegare il tutto con chiarezza. Come è possibile che una stessa persona sia convinta che la conoscenza si costruisce con un lavoro personale e che, al tempo stesso, ritenga che il modo migliore, per far raggiungere lo stesso risultato a un’altra persona, sia di spiegargli/le quella cosa? Il paradosso potrebbe ben abitare in una persona qualunque, ma in un insegnante diventa ancora più paradossale!
I bambini, grandi e piccoli, imparano se fanno, costruiscono, indipendentemente da quello che l’insegnante dice loro e a volte nel momento che non fanno quello che l’insegnante dice loro.
L’assimilazione, obiettivo dell’insegnamento e dei tentativi paradossali, ma in buona fede, degli insegnanti, è il processo di incorporazione stabile delle nuove conoscenze nella propria struttura preesistente; essa può ottenersi solo attraverso un lavoro autonomo, anche se può essere agevolata dalla presenza dell’insegnante. È il discente che deve trovare il modo di riorganizzare le interferenze tra le nuove e le vecchie conoscenze e risolvere i conflitti. Assimilare significa trasformare, digerire, metabolizzare, cioè consumare se stessi. Ciò che si conosceva da prima non è un corpo inerte né si può cancellarlo. Se si cerca di farlo, senza averlo trasformato, si ottiene una “indigestione”. Pensare che una nostra buona preparazione su un dato argomento possa servire per “trasmetterlo” meglio a un’altra persona, è equivalente a pensare che si possa mangiare a posto di un altro.
Che cos’è un concetto? Che cos’è la didattica per concetti? In passato si pensava (Piaget, Bruner e Vygotskij) che la concettualizzazione fosse esclusiva del pensiero formale. Piaget pensava che solo osservando i bambini in azione si potessero ricostruire le loro concezioni e i loro processi mentali. Non essendo dotati di pensiero formale, i bambini non potevano riferire direttamente i loro pensieri e, quando richiesti, lo facevano in modo idiosincratico. Piaget inizialmente (anni venti) prese in prestito termini dall’etnologia, come egocentrismo, antropomorfismo e magismo, per descrivere l’universo mentale dei bambini. Inevitabilmente il loro pensiero rischiava così di essere assimilato a quello dei primati: un pensiero sostanzialmente imperfetto, primitivo e limitato. In seguito Piaget si mostrò insoddisfatto di questi concetti e si rivolse alla psicanalisi, per trovare termini appropriati alla mente del bambino. La mente del bambino, analogamente a quella del malato di mente, produce un pensiero alternativo a quello “comune” e non un pensiero inferiore, pre-evolutivo. Damiano riporta quindi esempi in cui gli adulti e gli stessi insegnanti fanno uso di pensiero riconducibile ad egocentrismo, antropomorfismo e magismo. Questo si verifica sistematicamente ogni volta che ci si trova ad affrontare una situazione nuova, di cui abbiamo scarsa esperienza; è come se avessimo due strutture cognitive: una nostra, costruita da noi, gradualmente e attraverso esperienza e assimilazione, alla quale ci affidiamo quando affrontiamo compiti di cui abbiamo una certa esperienza, per esempio insegnare, facendolo a modo nostro. Abbiamo poi un corpo di conoscenze apprese leggendo e ascoltando, che conosciamo, ma non abbiamo ri-organizzate e ri-costruite, che non si sono integrate con la nostra esperienza. Dopo una formazione, per quanto valida culturalmente e dal punto di vista del tirocinio, l’insegnante sistematicamente regredisce alle metodologie di cui ha veramente esperienza: quelle tradizionali che ha vissuto stando dalla parte del banco. È necessario quindi che la sua formazione e il supporto dei formatori continui nel tempo e che egli trovi un contesto abbastanza confortevole per poter fare affidamento nelle nuove conoscenze e si senta in condizione di poter sperimentare le nuove metodologie. Quand’è che gli insegnanti esprimono il proprio pensiero e dicono quello che fanno? Davanti alla macchina del caffè, cioè quando c’è occasione di vero dialogo e può emerge il vero vissuto. Su questo tema Damiano afferma, più avanti, che è pur vero che l’insegnamento deve essere personale e non aderente in modo fondamentalista o asettico ad una corrente o teoria pedagogica data; ma è pur vero che, per esempio, l’approccio costruttivista della didattica per concetti, è incompatibile con la metodologia per obiettivi se si tratta di organizzare la programmazione didattica.
Damiano chiede ai presenti quale cognizione abbiano della didattica per concetti. Alcuni interventi fanno riferimento alla strategia educativa che utilizza le esperienze dei bambini. Damiano chiarisce che la didattica basata sull’esperienza e che affina e approfondisce l’esperienza, coincide con la didattica della ricerca, come quella che si basa sulle domande socratiche. In questa ottica la maestra accetta tutte le risposte del bambino, dimenticando di conoscere, e risponde ad esse con altre domande e nuovi input, finché il bambino non “ci arriva da solo”. L’inconveniente di questa metodologia è che il bambino sente che la maestra lo capisce, perché lei lo capisce effettivamente, almeno finché ha condiviso le sue esperienze, ma nel clima di accettazione egli non si trova mai costretto a formulare e definire con maggiore precisione il proprio linguaggio, per raggiungere una minima intersoggettività, alla quale corrisponde una miglior definizione dei concetti. Un approccio ugualmente basato sull’esperienza, ma che rientra nel campo della didattica per concetti, è quello in cui, invece, la maestra finge di non aver capito e chiede al bambino di ripetere meglio, stimolando un dialogo più intenso, contrastando le sue affermazioni, e costringendolo così a rivedere il proprio pensiero e linguaggio. Insomma, si può concludere che nella didattica per concetti, all’esperienza si devono sommare la rappresentazione e l’organizzazione dei concetti, processi che sono anche compendiati come metacognitivi.
Occorre convincersi che l’insegnamento non è la causa dell’apprendimento, ma un’occasione, un modo indiretto di favorire l’apprendimento, che si basa sul mettere in crisi il sistema di conoscenze del soggetto che sta apprendendo.
Damiano entra quindi direttamente al tema centrale, della concettualizzazione dei bambini. I bambini riescono a espimere i concetti? Premesso che quando si parla di tradurre un concetto in parole resta sempre una componente tacita e indicibile della propria esperienza cogntiva, Damiano cita due donne, entrambe Katherine (una delle quali è K. Nelson) che hanno scoperto che il saper raccontare il proprio pensiero è un processo che non dipende dall’età, ma dalla competenza (fatta di esperienze nella ricerca del linguaggio). Le due K. hanno scoperto che la concettualizzazione avviene sempre, ma che all’inizio dell’esplorazione di un campo di esperienze nuovo i concetti non sono definiti con un linguaggio essenziale e formale che è caratteristico del concetto “scientifico”. I concetti “embrionali”, a tutte le età, sono costituiti da “copioni” (script), cioè racconti o resoconti delle proprie esperienze e degli scenari del proprio vissuto, che contengono il concetto, ma non lo rendono chiaramente e sinteticamente riconoscibile. I copioni sono gli antenati dei concetti. Se un bambino prende l’autobus tutte le volte che va allo zoo e se gli si chiede di parlare dello zoo, egli includerà nel suo copione anche l’esperienza dell’autobus. Se a un adulto si chiede di definire un film, questi lo farà in modo “ingenuo”, utilizzando molti riferimenti alla trama specifica, mentre un critico (che ha la competenza) utilizzerà categorie formali e generali.
I concetti, che sono necessari come l’aria o l’acqua per l’uomo, poiché sono strumenti per fronteggiare la realtà, nascono e crescono allo stesso modo a tutte le età: si perfezionano attraverso la ripetizione delle esperienze. Il compito dell’insegnamento è di proporre esperienze nel modo più opportuno. Se a un bambino si chiede che cosa sia la palla, egli ci racconterà il suo copione, dicendo molte cose intorno alla palla: ci dirà cosa fa lui con la palla e ci parlerà di tutti gli aspetti connessi con questa esperienza. Il ripetere il gioco con la palla nello stesso contesto (es. sempre con la mamma, sempre a casa, ecc.) non lo aiuterà a definire con più precisione il concetto, ma solo a rinforzare il proprio copione. Se invece l’educatore modifica i contesti e fornisce molti copioni per uno stesso concetto, il bambino comincerà ad accorgersi che ci sono alcune costanti e alcune variabili e comincerà a scremare quelle variabili che non sono necessarie e a trovare il concetto attraverso un lavoro di pulizia. Se si vedono sempre e solo sedie di plastica, come si fa a costruire un concetto generale di sedia? Il messaggio per gli educatori è quindi chiaro: variare le esperienze, aiutare i bambini nel riconoscere le costanti. Alla domanda se i bambini concettualizzano si può rispondere che sì, essi lo fanno, a loro modo, se con concettualizare si intende tracciare dei confini, cioè definire, trovare delle categorie.
Anche dal punto di vista storico ed epistemologico, tutta la nostra cultura è stata influenzata e costruita su una visione limitata del mondo. La geometria è stata sviluppata nel piano perché nata dall’esigenza di ri-tracciare i terreni nel territorio spianato dopo le inondazioni, tra il Tigri e l’Eufrate. E questo tipo di geometria ha influenzato tutto lo sviluppo della scienza fino al secolo scorso. Una tribù che vive da sempre in una valle concava concepisce lo spazio in maniera totalmente diversa, attribuendo la caratteristica della planarità a delle superfici cilindriche e rievocando tale forma in molti aspetti della propria cultura. Gli eschimesi chiamano se stessi “inuit”, che significa semplicemente uomini, anche ora che hanno conosciuto altre razze e usano, invece, lo stesso termine per differenziarsi da esse. I concetti si differenziano, infatti, quando la realtà presenta nuove esigenze: essi diventano così sempre più precisi definiti, nel senso che riescono sempre più a rispecchiare gli esempi della realtà. Un esperimento scientifico può essere un’occasione per evidenziare nuove esigenze della realtà, che può portare a ridefinire un concetto, così anche nella scuola materna si devono offrire ai bambini nuovi contesti (decontestualizzare = liberazione dal contesto) per aiutare i bambini nell’operazione di scrematura successiva degli elementi inessenziali del copione, finché non rimanga il concetto “nudo”.
Ma per imparare bisogna fare; non bastano le sole parole, pertanto Damiano ci assegna i seguenti cinque lavori di gruppo.
Definizione |
Conversazione |
Pensiero
infantile 1 |
Pensiero
infantile 2 |
Unità
didattica |
Prevedere
come possono rispondere i bambini nel dare definizioni di una parola scelta
(casa, tana, miele). |
Esaminando
il report integrale della conversazione, stabilire quali regole ha usato la
maestra per regolare la conversazione clinica. |
Quali
domande stimolo si possono fare per ottenere risposte significative su come
pensano i bambini riguardo a un dato argomento? |
Esaminando
il report completo di tre conversazioni cliniche, e avute le risposte, cosa
si può capire del pensiero dei bambini su casa, tana, miele? |
Se
i bambini pesano queste cose su uno dei tre campi (casa, tana, miele), cosa
fare e quali strategie attivare per “aggiustare” il loro pensiero? |
I cinque punti corrispondono alle fasi della didattica per concetti di Damiano. Tale pratica didattica non è identificabile con le mappe concettuali, anche se queste costituiscono uno strumento sintetico e dinamico eccellente in mano all’insegnante.
In sintesi la didattica per concetti parte dai seguenti presupposti
a) Il bambino va ascoltato,
b) nella convinzione che egli pensi sempre e lo faccia in base alle proprie esperienze,
c) che egli pensi in un modo che non è sbagliato, ma giusto a suo modo.
I lavori svolti dai gruppi, e le “soluzioni” tipo presentate da Damiano, sono disponibili su richiesta.
Testi reperibili: Guida alla Didattica per Concetti, Juvenilia, 1995