ESPERIENZE PIU'INTENSE Talvolta invece il viaggio avviene su un piano più onirico, totalmente avulso dalla situazione, portando il soggetto a vivere dei sogni o a rivivere esperienze passate rese quanto mai vivide. Pare però che, soprattutto le prime volte, l’impatto sia traumatico. La perdita del controllo e della percezione del corpo induce la persona a credere di aver smesso di respirare. Tale sensazione di “pre-morte” finisce con il materializzarsi in visioni spesso spaventose. Alcuni descrivono il k-hole come assolutamente indesiderabile. Tra questi, coloro che sostengono di averlo sperimentato parlano di qualcosa di terribile, capitato per sbaglio e assolutamente da non ripetere. Quelli che invece non l’hanno ancora sperimentato dicono di non essere intenzionati a farlo perché ritenuto rischioso o semplicemente in quanto incompatibile con l’obiettivo del loro consumo, rivolto al contesto circostante e alle possibilità da esso offerte. Le esperienze emerse dalla “zona k-hole”, accomunate dalla dissociazione pressoché completa, risultano in generale però anche quelle più varie in termini sia dei contenuti sia della loro valutazione complessiva. L’elemento del set e del setting paiono in questo caso fondersi. Se ci interrogassimo sui motivi generici di questi differenti esiti rischieremmo però di naufragare nella complessità delle troppe variabili in gioco. Ciò potrebbe derivare dai particolari effetti della ketamina , ma anche dal diverso setting, dalle condizioni fisiologiche dell’assuntore (alimentazione, sonno, policonsumo), così come dalle differenze di genere, età e background sociale, storico e culturale. Cercando invece di restare ancorati ai contenuti delle visioni non possiamo però fare a meno di notare in questi primi “brutti viaggi” ketaminici alcuni elementi ricorrenti. Essi sono spesso legati alla rappresentazione della morte, della colpa e dell’espiazione, attraverso immagini quali, in primis, quella del tunnel da percorrere. Questi tre concetti non paiono per nulla nuovi alla rappresentazione sociale della “droga” e rimandano proprio agli stereotipi legati alla sostanza. Ecco che anche la stigma, il giudizio e la colpevolizzazione ? che nel caso della ketamina spesso traspare non solo dalle istituzioni e dai media, ma addirittura da una parte della stessa popolazione dei rave ? avranno un peso sul set del consumatore, che vi si confronterà pertanto anche nelle sue visioni . Così, dopo aver assunto colpevolmente una droga che “uccide e annulla”, alla prima avvisaglia di qualcosa che non va il film della propria diparti-ta/espiazione sarà già bell’e iniziato! Paradossalmente, si potrebbe affermare che la sede ideale per la concretizzazione del noto “teorema di Thomas” [1904] sia il mondo interiore dell’assuntore di psichedelici, così come il sogno. Non a caso, nella sua opera The Center of the Cyclone, Lilly [1972, 74] riporta il testo di un nastro ipnotico da lui inciso e usato per preparare i suoi soggetti sperimentali all’esperienza enteogena: "Ciò che è ammesso, esiste. Nel non ammettere alcun limite, non vi sono limi-ti…Ciò che è ammesso, esiste. Ciò che esiste è ammesso. Quando non si am-mette alcun limite, non vi sono limiti. Nella provincia della mente, ciò che è ri-tenuto vero è vero o diviene vero. Non ci sono limiti". Ed ecco che, una volta superato un primo immancabile “bad trip” legato alle proprie rappresentazioni pregresse ed entrato nel “giro dei ketaminusi”, il contenuto del “viaggio” si allontanerà progressivamente dal “tunnel dell’orrore” per raggiungere gli agognati effetti ricercati. Forse anche per questo l’amante della dissociazione forte tende a rifugiarsi (talvolta a ingabbiarsi) nel gruppo amicale ristretto e nei circoli viziosi che al suo interno si innescano . Sembra così che, nel ripetere l’esperienza, alcuni si trovino a vivere vari tipi di viaggio, spesso descrivendoli come positivi e non più legati alla sensazione di morte iniziale. Interessante è il caso opposto di Artista, che sostiene di aver superato la paura della morte attraverso un’esperienza di comunione con l'universo raggiunta atraverso il k-hole. Questo tipo di esperienza, in particolare il senso di comunione con l’universo, è ricorrente sia in queste interviste sia in quelle fatte da Jensen a sedicenti psiconauti ? come peraltro nei resoconti di Lilly e di Moore. Le esperienze di pre-morte, potrebbero allo stesso modo essere interpretate come esperienze di pre-nascita, in cui l’individuo, in assenza completa di socializzazione, non è ancora in grado di percepirsi come distinto dall’ambiente circostante e si vive come un tutt’uno con esso. Tale condizione è peraltro espressamente perseguita in diverse forme di meditazione legate alla religione buddista, ma incarna anche uno dei principali concetti della meccanica quantistica, ovvero quello di “universo partecipatorio” [Wheeler 1994]. Jensen sottolinea a più riprese legami diretti tra il mondo della fisica quantistica e quello degli stati alterati di coscienza. Racconta ad esempio di come il premio Nobel Richard Feynman ricordi con gratitudine Lilly che li permise di raggiungere alcune intuizioni ospitandolo per settimane nei suoi floating tank [Jensen 2004].